IL PRETORE
    Visto  il  ricorso   in   opposizione   ad   ordinanza-ingiunzione
 depositato  il  28  maggio 1994 ed avanzato nell'interesse di Forlano
 Lucio;
    Considerato  che  con  esso l'istante invoca, in linea principale,
 l'annullamento   del   provvedimento   amministrativo   sanzionatorio
 impugnato,  assumendo  la  sussistenza  dell'esimente  dello stato di
 necessita', (applicabile anche negli  illeciti  sanzionati  con  pena
 pecuniaria di natura amministrativa), in relazione alla violazione di
 cui  all'art.  142,  comma  9,  decreto  legislativo n. 285 del 1992,
 poiche' la condotta censurata attinente  alla  circolazione  stradale
 (e,   in  special  modo,  all'osservanza  del  prescritto  limite  di
 velocita') era  stata  originata  dall'improvviso  malore  che  aveva
 colpito  la  sua  genitrice  Poti Antonia, emodializzata, la quale in
 preda ad una grave crisi cardiaca, era  stata  accompagnata  da  esso
 opponente presso il centro Dial Nuova, ove era stata visitata dal suo
 medico di fiducia;
    Rilevato  che  il procuratore del ricorrente, all'odierna udienza,
 ha instato, per il caso di mancato accoglimento del motivo principale
 di opposizione, per la riduzione della sanzione  irrogata  al  minimo
 edittale,   sollevando   dubbi   sulla   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 204, comma 1, del cit.  decreto  legislativo  n.  285/1993,
 nella  parte  in cui impone al prefetto di ingiungere il pagamento di
 una somma determinata  nella  misura  non  inferiore  al  doppio  del
 minimo;
    Ritenuto,  che,  nonostante  la  Corte  costituzionale  abbia gia'
 precedentemente respinto  la  questione,  sussistono,  ad  avviso  di
 questo  pretore,  le  condizioni per riproporla anche alla luce delle
 argomentazioni addotte dallo stesso giudice delle leggi.
                                OSSERVA
    La Corte costituzionale, indubbiamente, sotto una  prospettiva  di
 ordine  generale, nell'ordinanza n. 67 del 1994, ha preso le mosse da
 una  corretta  impostazione  laddove  ha  ritenuto  che  il   giudice
 rimettente era partito da una inesatta premessa ritenendo di essere -
 nella  fase  oppositiva giurisdizionale - a sua volta limitato, nella
 determinazione della misura della  sanzione  pecuniaria,  al  livello
 minimo  che  la  norma  impugnata  (art.  204  c.d.s. 1992) impone al
 prefetto (il doppio  del  minimo  della  misura  edittale),  potendo,
 invece in ipotesi, per il richiamo (circa l'azionabilita' del rimedio
 giurisdizionale)  all'art.    205,  comma  3, superarsi tale ostacolo
 facendo concreta applicazione del disposto dell'art. 23,  terz'ultimo
 comma,  legge  n.  689/1981 il quale, conferisce (eccezionalmente) al
 giudice ordinario anche il sindacato sulla determinazione, sul  piano
 pratico ed effettivo, della misura della sanzione, in melius rispetto
 alla   posizione   del   trasgressore-opponente,  ovvero  riducendola
 rispetto a quella irrogata dalla p.a .  Non  sembra,  pero',  che  il
 giudice    delle    leggi   abbia   tenuto   conto,   nell'operazione
 interpretativa adeguatrice, dell'inapplicabilita' (nella  sostanza  e
 sul piano tecnico-giuridico) di tale opzione ermeneutica da parte dei
 giudici  di merito, alla stregua del "diritto vivente" (al quale pure
 spesso  si  ispirano  i  giudici  della   Consulta)   relativo   alla
 disposizione  innanzi indicata dell'art. 23, terz'ultimo comma, della
 legge n. 689/1981, che, di fatto, crea  ugualmente  una  compressione
 del diritto di difesa dell'opponente e, per tale via, una lesione del
 valore contenuto nell'art. 24 della Carta fondamentale.
    Ed infatti, ancorche' il giudice delle leggi abbia riconosciuto al
 giudice  dell'opposizione  ad  ordinanza-ingiunzione,  apparentemente
 incondizionatamente - il  potere  di  determinare  l'ammontare  della
 sanzione  compiendo  una  valutazione  complessiva  delle  risultanze
 processuali  e  ricorrendo  agli stessi parametri enucleati nell'art.
 195, comma 2, c.d.s. 1992, non pare, pero', che sia stato  affrontato
 in  concreto  il  problema  -  emergente dal c.d. "diritto vivente" -
 circa la  individuazione  dei  limiti  che,  di  fatto,  condizionano
 l'esercitabilita' di tale potere.
    Invero   la   soluzione   interpretativa   offerta   dalla   Corte
 costituzionale con l'ord. 24 febbraio 1994, n.  67,  sembra  fondarsi
 sul presupposto secondo cui la modifica della sanzione amministrativa
 sia rimessa alla piena discrezione del giudice dell'opposizione ed al
 riesame  che  egli  possa  autonomamente  compiere  della fattispecie
 sottoposta al suo vaglio  nella  fase  giurisdizionale  intentata  ai
 sensi  dell'art.  22  legge  n. 689/1981. Senonche', sulla scorta del
 reiterato  e   sostanzialmente   consolidato   in   indirizzo   della
 giurisprudenza di legittimita' (ma anche dei giudici di merito), deve
 ritenersi  che, sul piano applicativo della disposizione - e percio',
 in base alla evoluzione del menzionato "diritto vivente" -, il potere
 di modificazione in senso riduttivo della sanzione (ovvero  in  senso
 favorevole  all'opponente,  restando,  in  ogni  caso,  preclusa ogni
 possibilita' di un aggravamento della misura  della  sanzione,  anche
 allorquando  la  p.a.  opposta, costituendosi in giudizio, ne facesse
 domanda o ne facesse osservare al giudice  solamente  l'opportunita')
 puo' trovare concretamente modo di operare soltanto in conseguenza di
 un  accertamento  dell'illegittimo uso, da parte dell'amministrazione
 irrogante, dei criteri indicati nell'art. 11 (ovvero in  disposizioni
 speciali,  come  appunto  l'art.  195,  comma 2, c.d.s. 1992) ai fini
 dell'esercizio del potere determinativo della sanzione. Coerentemente
 con tale impostazione di fondo, rispettosa del confine tra  la  sfera
 di  azione  della  p.a.  e  l'esplicazione  del potere eccezionale di
 interferenza del giudice sull'attivita' riconducibile  alla  potesta'
 sanzionatora  della stessa p.a., la dottrina assolutamente prevalente
 ha  osservato  che  per  la  concretizzazione  del  riferito   potere
 dell'autorita'  giudiziaria  ordinaria,  dovra'  essere dimostrato al
 giudicante  che  la  sanzione  e'  stata  applicata  in  misura   non
 consentita dalla legge o in misura erronea rispetto alle peculiarita'
 della  fattispecie:  e,  soltanto dopo aver compiuto in positivo tali
 accertamenti,  egli  dovra'  (rectius:  avra'  la  legittimazione)  a
 prendere  i  provvedimenti  che  ne  conseguono in ordine alla misura
 della sanzione stessa. Sempre la dottrina,  sull'onda  dei  risultati
 ormai   pacifici   acquisiti  nell'evoluzione  giurisprudenziale,  ha
 sottolineato che, in merito al discorso in atto, non puo' trascurarsi
 che l'opposizione da'  ingresso  ad  un  procedimento  di  cognizione
 finalizzato  all'accertamento  della  legittimita' e della fondatezza
 della pretesa punitiva della p.a., ed in tale  contesto  l'intervento
 del  giudice  deve  pur  sempre  essere  ricollegato  al sindacato di
 legittimita', piuttosto che a poteri di  sindacato  dell'opportunita'
 del         provvedimento         amministrativo        sanzionatorio
 (ordinanza-ingiunzione). Non va, sul punto, dimenticato che la stessa
 relazione ministeriale al progetto di legge originario (di quella che
 poi sarebbe divenuta  la  legge  n.  689/1981),  adottata  nel  1977,
 riconosce  e  prende  atto  che la Costituzione non consentiva, e non
 consente, al giudice ordinario di sostituire la  propria  valutazione
 in   merito   a   quella   compiuta   dall'amministrazione;  pertanto
 riconduceva, in tal senso giustificandola, l'innovazione proposta nel
 binario   di   un   intervento   conseguente  all'illegittimita'  del
 provvedimento anziche' all'apprezzamento di esso.
    Ma v'e' di piu'. L'art.  113,  ultimo  comma,  della  Costituzione
 demanda alla legge ordinaria di indicare quale organo giurisdizionale
 possa   annullare  l'atto  amminastrativo  ma  non  prevede  pure  la
 possibilita' che venga conferita all'a.g.o. una  forma  di  controllo
 che  si  diversifichi  da  quella  dell'annullamento. Cio' nonostante
 venne inserita nell'art. 23, comma 11, della  legge  n.  689/1981  la
 disposizione  eccezionale  che  attribuiva  al  giudice  ordinario il
 potere di  incidere,  in  sede  di  opposizione,  sul  quantum  della
 sanzione,   ma   questo,   per   fugare   ogni   rilievo   di  ordine
 costituzionale,  fu  possibile  sull'implicito  presupposto  che   ne
 venisse offerta un'interpretazione (appunto compatibile con il citato
 parametro  della  Carta  fondamentale) in base alla quale rimaneva in
 ogni  caso  escluso  che  il  giudice  ordinario  potesse  sostituire
 "discrezionalmente"   la  propria  valutazione  di  merito  a  quella
 dell'organo amministrativo per legge legittimato all'esercizio  della
 potesta'  sanzionatoria.  Sulla  base  di tale inquadramento coerente
 sotto il profilo del coordinamento sistematico si  e'  sviluppato  il
 costante  insegnamento della Cassazione, in virtu' del quale e' stato
 affermato che rientra nel sindacato del giudice ordinario, in sede di
 opposizione a ordinanza-ingiuzione,  il  controllo  di  legittimita',
 anche  sul  punto  relativo  all'esistenza  e  alla correttezza della
 motivazione   circa   i   criteri   osservati   in   funzione   della
 determinazione  della  sanzione; ha, pero', univocamente chiarito, in
 proposito,  che  attiene  al  merito  -  onde  sfugge  al   controllo
 dell'a.g.o.  -  la  verifica  dell'adeguatezza  della sanzione, cioe'
 della sua congruita' rispetto al disvalore intrinseco dell'infrazione
 addebitata,  mentre  inerisce  alla  legittimita'  del  provvedimento
 amministrativo - e, per tale verso, rientra nella cognizione devoluta
 al  giudice ordinario - la verifica dell'esistenza di una motivazione
 sufficiente  a  dar  conto  delle  ragioni  in  forza   delle   quali
 l'autorita'  amministrativa  abbia  determinato  l'ammontare concreto
 della  sanzione  (v.,  sotto  il  regime   della   precedente   legge
 depenalizzatrice,  Cass.   24 febbraio 1978, n. 926; Cass. 27 ottobre
 1978, n. 4892; Cass.   ss.uu.civ.  3  aprile  1980,  n.2151  e  Cass.
 ss.uu.civ.   12   aprile  1980,  n.  2323;  cfr.,  altresi',  per  le
 applicazioni pratiche riferibili alla legge 24 novembre 1981, n. 689,
 Cass. 22 febbraio 1989, n. 998; Cass.  ss.uu.civ. 3 febbraio 1989, n.
 659; Cass. 30 novembre 1985, n. 5984; Cass.  ss.uu.civ.  16  febbraio
 1984, n. 1133).
    In    definitiva,    alla   stregua   dei   risultati   scaturenti
 dall'evoluzione  della  giurisprudenza,  si  deve  escludere  che  al
 giudice  dell'opposizione  a  ordinanza-ingiunzione siano conferibili
 poteri discrezionali di rideterminare in modo nuovo  ed  autonomo  la
 sanzione,   in  completa  sostituzione  degli  organi  amministrativi
 competenti; rientra, invece, nella sfera di giurisdizione  attribuita
 al   giudice   ordinario   la   verifica   del   rispetto,  da  parte
 dell'autorita' amministrativa, dei limiti massimo  e  minimo  fissati
 dalla  legge  per  la  sanzione,  nonche' l'esame della conformita' a
 legge dei criteri giuridici  in  base  ai  quali  la  quantificazione
 concreta  della  sanzione risulta operata (cfr., ancora in tal senso,
 la citata Cass. ss.uu.civ.    16  febbraio  1984,  n.  1137  e  Cass.
 ss.uu.civ. 3 febbraio 1989, n.  659).
    Alla  luce  di quanto innanzi, pare emergere che l'interpretazione
 "adeguatrice" data dalla Corte costituzionale nella decisione  n.  67
 del  1994  (ribadita nella sentenza n. 366 dello stesso anno) viene a
 scontrarsi con il "diritto vivente", in quanto,  per  le  limitazioni
 evidenziate   e   per  la  circoscrizione  del  potere  di  incidenza
 dell'a.g.o.  sull'aspetto  della  determinazione  quantitativa  della
 sanzione  in  fase oppositiva, i giudici di merito vengono a trovarsi
 nella sostanziale impossibilita' di applicarla,  vivendo  appunto  la
 disposizione  che  si  intende  impugnare in senso diverso, a livello
 interpretativo, rispetto agli  auspici  contenuti  nella  statuizione
 predetta dei giudici della Consulta.
    In  altri termini, nel momento in cui il giudice dell'opposizione,
 verificato che la p.a. opposta ha irrogato la sanzione nel limite non
 inferiore al doppio del minimo edittale per ogni  singola  violazione
 ai  sensi  dell'art.  204,  comma  1,  c.d.s.    1992  e  che  essa -
 trattandosi di una soglia minima predeterminata per legge  -  non  e'
 tenuta  a  dare  contezza,  sul  piano  della  motivazione,  di  tale
 quantificazione  (insorgendo  un  tale  obbligo,  in   relazione   ai
 parametri  trasparenti  dell'art. 195, comma 2, c.d.s. 1992, soltanto
 quando intende irrogare una misura superiore al doppio  del  minimo),
 esso  giudice,  proprio in relazione al richiamo che si pone all'art.
 23 della legge n. 689/1981 nel successivo art. 205, comma  3,  c.d.s.
 cit.  (e,  quindi,  al  "diritto vivente" sviluppatosi intorno al suo
 undicesimo comma, nei sensi piu' avanti svolti), verrebbe a  trovarsi
 nella  impossibilita'  pratica  di  esercitare il potere di riduzione
 della sanzione, non ricorrendone i presupposti  evidenziati,  proprio
 perche'  constaterebbe il rispetto dell'irrogazione del limite minimo
 fissato dalla legge (equivalente al doppio  del  minimo  edittale)  e
 l'irrilevanza  dell'omissione  della  motivazione - ovvero la sua non
 producibilita' del conseguente azionamento del potere modificativo da
 parte del giudice  -  proprio  in  dipendenza  dell'applicazione  del
 minimo consentito dalla legge. A quest'ultimo proposito la Cassazione
 ha,  invero,  stabilito  che,  in tema di sanzioni amministrative, il
 provvedimento  che  determini  la  sanzione  pecuniaria   in   misura
 corrispondente  al minimo previsto dalla legge applicata non richiede
 una specifica motivazione in  rapporto  all'impiego  dei  criteri  di
 applicazione  delle  sanzioni contemplati nell'art. 11 della legge n.
 689/1981 (o in altre norme speciali) (cf. Cass.  17  marzo  1989,  n.
 1316).  E  questo  configurerebbe  il sistema di chiusura (proprio in
 virtu' del riferito richiamo all'art.   205, comma  3,  c.d.s.  1992)
 che,  pur in difetto di espresse norme specificamente limitatrici del
 nuovo   codice   della   strada,   non   consentirebbe   al   giudice
 dell'opposizione  di  esercitare il suo potere di modificazione della
 sanzione in melius nel momento in cui la p.a.  si attenga  al  minimo
 precostituito per legge rappresentato dal "doppio del minimo edittale
 per  ogni singola violazione" cosi' come imposto dall'art. 204, comma
 1, c.d.s. 1992.
    Cio' posto, pare a questo giudicante,  che  ci  si  imbatta  nella
 violazione  dell'art.  24 della Costituzione, perche' la disposizione
 appena citata ex art. 204, comma 1, c.d.s. 1992 si connoterebbe  come
 un "deterrente" alla proposizione del ricorso amministrativo da parte
 del trasgressore ai sensi dell'art. 203, comma 1, cit. c.d.s. proprio
 per  le  conseguenze peggiorative, sul piano sanzionatorio, di cui la
 sua sfera giuridica  verrebbe  a  risentire  in  ipotesi  di  rigetto
 dell'impugnativa  all'interno  del  procedimento amministrativo, che,
 invero,   imporrebbe,   in   via   automatica   (e    senza    alcuna
 indispensabilita'di  addurre  idonea  motivazione), l'applicazione di
 una sanzione nella misura  non  inferiore  al  doppio  di  quanto  e'
 ammesso  con  il  pagamento  in misura ridotta ex art. 202 cit c.d.s.
 1992. Inoltre - ed e' questo  il  profilo  innovativo  rispetto  alle
 precedenti  questioni  sollevate  dai  giudici di merito rimettenti -
 tale inflizione vessatoria della sanzione nella misura predeterminata
 del doppio del  minimo,  per  le  ragioni  ampiamente  spiegate,  non
 sarebbe modificabile in melius da parte del giudice dell'opposizione,
 (come,   invece,   implica  l'opzione  interpretativa  offerta  dalla
 Consulta nell'ord. cit. n. 67 del 1994), il quale, avendo controllato
 che la p.a. si e' attenuta al  rispetto  del  limite  minimo  fissato
 dalla  legge  (senza  la  necesisita' dell'osservanza dell'obbligo di
 un'adeguata   motivazione),   non    potrebbe    (rectius:    sarebbe
 impossibilitato a) - per gli esiti interpretativi desumibili dal piu'
 volte  citato "diritto vivente" - valutare direttamente la congruita'
 della sanzione,  ne'  potrebbe  sostituire  una  sua  pronuncia  alle
 determinazioni     dell'autorita'     amministrativa,    risolvendosi
 diversamente, in presenza dei  riferiti  presupposti,  una  contraria
 condotta  del giudice in un'inammissibile ed illegittima esplicazione
 di un non consentito potere discrezionale di  rideterminare  in  modo
 nuovo  ed  autonomo  la sanzione, in completa sostituzione della p.a.
 competente e legittimata per legge. Tanto comporta la violazione  del
 diritto  di difesa in giudizio del trasgressore che, - se l'ordinanza
 non dovesse essere annullata in toto in sede, appunto  giudiziale  -,
 pur  avendola  invocata,  non  potrebbe  ottenere  la riduzione della
 sanzione qualora applicata nella misura del doppio del minimo ex art.
 204, comma 1, c.d.s. 1992, onde  la  questione  nei  termini  innanzi
 specificati,  si  prospetta  come  non  manifestamente  infondata  in
 relazione all'art. 24, commi 1 e 2, della Costituzione.
    Peraltro per potersi affermare che la medesima disposizione di cui
 al cit. art. 204, comma 1, c.d.s. 1992 collida  -  come  rilevato  da
 altro  giudice  di  merito  (v.  ord.  pret. Lanciano su cui la Corte
 costituzionale si e' pronunciata con la sentenza 27 luglio  1994,  n.
 366)  -  con il parametro del principio di eguaglianza sostanziale ex
 art.  3  della  Costituzione,  laddove  sembrerebbe  comportare   che
 soltanto  chi  si  trova  in  piu'  agiate condizioni economiche puo'
 rischiare  di  intraprendere  il  percorso  dell'opposizione  in  via
 giurisdizionale,  proponendo,  previamente, un ricorso amministrativo
 destinato, ove respinto, a determinare l'irrogazione, da parte  della
 p.a.,  del  doppio  del  minimo  della  sanzione,  onde si verrebbe a
 concretare una discriminazione dei meno abbienti rispetto a chi versa
 in considerevoli condizioni economiche.
    Ne' sembra che questa interpretazione  sia  superabile  in  virtu'
 della  considerazione (in altra sede operata dal giudice delle leggi:
 v. la cit. sentenza n. 366 del  1994)  secondo  la  quale  l'ostacolo
 sarebbe  travalicabile azionando, avverso il verbale di accertamento,
 immediatamente la tutela  giudiziaria  senza  passare  attraverso  il
 preventivo  esperimento  del ricorso amministrativo, al cui esito, in
 difetto di accoglimento dell'istanza di archiviazione,  conseguirebbe
 ineluttabilmente  l'applicazione  del  raddoppio del minimo edittale.
 Infatti, nell'ordine logico-sistematico  delle  disposizioni  di  cui
 agli  artt.  203,  204  e  205 del c.d.s. 1992, non pare che si possa
 prescindere, ai fini dell'instaurazione della fase oppositiva in sede
 giudiziale,   dalla   pregiudiziale   definizione   del  procedimento
 amministrativo che culmina nell'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione
 prefettizia (ove non si faccia luogo all'archiviazione) e  cio',  non
 solo,  in  consonanza  con  i testuali passaggi procedimentalizzati e
 cadenzati, previsti nelle  richiamate  norme,  ma,  soprattutto,  per
 l'assorbente  motivo  in  virtu'  del  quale  l'art. 205 cit. ammette
 esplicitamente (non prevedendo  deroghe)  che  l'opposizione  innanzi
 all'autorita'  giudiziaria  vada  presentata dall'interessato "contro
 l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una  sanzione  amministrativa
 pecuniaria".    Ad    avvalorare   la   circostanza   che   l'oggetto
 dell'opposizione in  sede  giudiziale  si  identifichi  soltanto  con
 l'ordinanza-ingiunzione  si pone, inoltre, il richiamo per relationem
 compiuto nello  stesso  art.  205,  in  ordine  all'osservanza  delle
 modalita'  del  giudizio di opposizione disciplinato dagli artt. 22 e
 23 della legge n. 689/1981; ed in proposito l'art. 22  appena  citato
 recita espressamente che gli interessati possono proporre opposizione
 "contro  l'ordinanza-ingiunzionedi pagamento e contro l'ordinanza che
 dispone la sola confisca", mentre l'art.  23,  all'undicesimo  comma,
 legittima  il  giudice,  in caso di accoglimento dell'opposizione, ad
 annullare in tutto o in parte  "l'ordinanza"  o  modificandola  anche
 limitatameate   all'entita'   della  sanzione  dovuta.  Ad  ulteriore
 conforto della riportata  opzione  ermeneutica  soccorre  ancora  una
 volta, la giurisprudenza (di legittimita', in particolare), ad avviso
 della  quale  "in  tema  di  sanzione  amministrative,  l'opposizione
 davanti al giudice, a norma dell'art. 22 della legge 24 gennaio 1981,
 n. 689, e' consentita contro l'ordinanza-ingiunzione, con  cui  viene
 irrogata  la  sanzione  pecuniaria  ed intimato il suo pagamento, non
 anche, pertanto, avverso il verbale di contestazione  dell'infrazione
 (ancorche'  contenga  l'invito  ad  effettuare il pagamento in misura
 ridotta ai sensi dell'art. 16  della  citata  legge);  l'irritualita'
 dell'esperimento  dell'opposizione contro detto verbale, traducendosi
 nel difetto di un presupposto  essenziale  per  la  costituzione  del
 rapporto   processuale,   e'  deducibile  e  rilevabile  in  sede  di
 legittimita', pure se non fatta valere in sede di merito"  (v.  Cass.
 civ.  29  dicembre 1989, n. 5820; Cass. civ. 29 aprile 1988, n. 3235;
 Cass.  civ.  14  gennaio  1988,  n.     195;   per   riferimenti   di
 giurisprudenza  costituzionale  v.  sentenze Corte costituzionale nn.
 186 del 1972, n. 130  del  1970  e  n.  82  del  1992).  Pertanto  la
 qestione,   per   gli   accennati   motivi,   si   profila  come  non
 manifestamente infondata anche in  riferimento  al  valore  enucleato
 nell'art. 3 della Carta fondamentale.
   La  complessiva  questione  incidentale di costituzionalita' appare
 chiaramente rilevante  nel  presente  giudizio,  poiche'  l'esito  di
 quest'ultimo  e',  all'evidenza,  dipendente  dalla risoluzione della
 questione  sollevata,  dal  momento  che,  se  quest'ultima   venisse
 accolta, consentirebbe a questo giudice, - avendone formulato istanza
 anche  se in via subordinata (ovvero in caso di rigetto della domanda
 di annullamento dell'ordinanza-ingiunzione), l'opponente in relazione
 al disposto ex art. 23, comma 11,  legge  n.  689/1991  -,  di  poter
 operare  una valutazione sui criteri di determinazione della sanzione
 irrogata e, sulla scorta dei principi dinanzi evidenziati,  procedere
 in  concreto,  ove  ne  ricorressero  i presupposti, ad una riduzione
 della stessa.
    Al  promuovimento  della  questione  appena  cennata  consegue  la
 necessita' dell'assolvimento degli  adempimenti  che  saranno  meglio
 specificati  in parte dispositiva nonche' la sospensione del presente
 giudizio, alla stregua degli artt. 295 del c.p.c. e 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87.