IL PRETORE Visto il ricorso in opposizione ad ordinanza-ingiunzione depositato il 28 maggio 1994 ed avanzato nell'interesse di Forlano Lucio; Considerato che con esso l'istante invoca, in linea principale, l'annullamento del provvedimento amministrativo sanzionatorio impugnato, assumendo la sussistenza dell'esimente dello stato di necessita', (applicabile anche negli illeciti sanzionati con pena pecuniaria di natura amministrativa), in relazione alla violazione di cui all'art. 142, comma 9, decreto legislativo n. 285 del 1992, poiche' la condotta censurata attinente alla circolazione stradale (e, in special modo, all'osservanza del prescritto limite di velocita') era stata originata dall'improvviso malore che aveva colpito la sua genitrice Poti Antonia, emodializzata, la quale in preda ad una grave crisi cardiaca, era stata accompagnata da esso opponente presso il centro Dial Nuova, ove era stata visitata dal suo medico di fiducia; Rilevato che il procuratore del ricorrente, all'odierna udienza, ha instato, per il caso di mancato accoglimento del motivo principale di opposizione, per la riduzione della sanzione irrogata al minimo edittale, sollevando dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 1, del cit. decreto legislativo n. 285/1993, nella parte in cui impone al prefetto di ingiungere il pagamento di una somma determinata nella misura non inferiore al doppio del minimo; Ritenuto, che, nonostante la Corte costituzionale abbia gia' precedentemente respinto la questione, sussistono, ad avviso di questo pretore, le condizioni per riproporla anche alla luce delle argomentazioni addotte dallo stesso giudice delle leggi. OSSERVA La Corte costituzionale, indubbiamente, sotto una prospettiva di ordine generale, nell'ordinanza n. 67 del 1994, ha preso le mosse da una corretta impostazione laddove ha ritenuto che il giudice rimettente era partito da una inesatta premessa ritenendo di essere - nella fase oppositiva giurisdizionale - a sua volta limitato, nella determinazione della misura della sanzione pecuniaria, al livello minimo che la norma impugnata (art. 204 c.d.s. 1992) impone al prefetto (il doppio del minimo della misura edittale), potendo, invece in ipotesi, per il richiamo (circa l'azionabilita' del rimedio giurisdizionale) all'art. 205, comma 3, superarsi tale ostacolo facendo concreta applicazione del disposto dell'art. 23, terz'ultimo comma, legge n. 689/1981 il quale, conferisce (eccezionalmente) al giudice ordinario anche il sindacato sulla determinazione, sul piano pratico ed effettivo, della misura della sanzione, in melius rispetto alla posizione del trasgressore-opponente, ovvero riducendola rispetto a quella irrogata dalla p.a . Non sembra, pero', che il giudice delle leggi abbia tenuto conto, nell'operazione interpretativa adeguatrice, dell'inapplicabilita' (nella sostanza e sul piano tecnico-giuridico) di tale opzione ermeneutica da parte dei giudici di merito, alla stregua del "diritto vivente" (al quale pure spesso si ispirano i giudici della Consulta) relativo alla disposizione innanzi indicata dell'art. 23, terz'ultimo comma, della legge n. 689/1981, che, di fatto, crea ugualmente una compressione del diritto di difesa dell'opponente e, per tale via, una lesione del valore contenuto nell'art. 24 della Carta fondamentale. Ed infatti, ancorche' il giudice delle leggi abbia riconosciuto al giudice dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, apparentemente incondizionatamente - il potere di determinare l'ammontare della sanzione compiendo una valutazione complessiva delle risultanze processuali e ricorrendo agli stessi parametri enucleati nell'art. 195, comma 2, c.d.s. 1992, non pare, pero', che sia stato affrontato in concreto il problema - emergente dal c.d. "diritto vivente" - circa la individuazione dei limiti che, di fatto, condizionano l'esercitabilita' di tale potere. Invero la soluzione interpretativa offerta dalla Corte costituzionale con l'ord. 24 febbraio 1994, n. 67, sembra fondarsi sul presupposto secondo cui la modifica della sanzione amministrativa sia rimessa alla piena discrezione del giudice dell'opposizione ed al riesame che egli possa autonomamente compiere della fattispecie sottoposta al suo vaglio nella fase giurisdizionale intentata ai sensi dell'art. 22 legge n. 689/1981. Senonche', sulla scorta del reiterato e sostanzialmente consolidato in indirizzo della giurisprudenza di legittimita' (ma anche dei giudici di merito), deve ritenersi che, sul piano applicativo della disposizione - e percio', in base alla evoluzione del menzionato "diritto vivente" -, il potere di modificazione in senso riduttivo della sanzione (ovvero in senso favorevole all'opponente, restando, in ogni caso, preclusa ogni possibilita' di un aggravamento della misura della sanzione, anche allorquando la p.a. opposta, costituendosi in giudizio, ne facesse domanda o ne facesse osservare al giudice solamente l'opportunita') puo' trovare concretamente modo di operare soltanto in conseguenza di un accertamento dell'illegittimo uso, da parte dell'amministrazione irrogante, dei criteri indicati nell'art. 11 (ovvero in disposizioni speciali, come appunto l'art. 195, comma 2, c.d.s. 1992) ai fini dell'esercizio del potere determinativo della sanzione. Coerentemente con tale impostazione di fondo, rispettosa del confine tra la sfera di azione della p.a. e l'esplicazione del potere eccezionale di interferenza del giudice sull'attivita' riconducibile alla potesta' sanzionatora della stessa p.a., la dottrina assolutamente prevalente ha osservato che per la concretizzazione del riferito potere dell'autorita' giudiziaria ordinaria, dovra' essere dimostrato al giudicante che la sanzione e' stata applicata in misura non consentita dalla legge o in misura erronea rispetto alle peculiarita' della fattispecie: e, soltanto dopo aver compiuto in positivo tali accertamenti, egli dovra' (rectius: avra' la legittimazione) a prendere i provvedimenti che ne conseguono in ordine alla misura della sanzione stessa. Sempre la dottrina, sull'onda dei risultati ormai pacifici acquisiti nell'evoluzione giurisprudenziale, ha sottolineato che, in merito al discorso in atto, non puo' trascurarsi che l'opposizione da' ingresso ad un procedimento di cognizione finalizzato all'accertamento della legittimita' e della fondatezza della pretesa punitiva della p.a., ed in tale contesto l'intervento del giudice deve pur sempre essere ricollegato al sindacato di legittimita', piuttosto che a poteri di sindacato dell'opportunita' del provvedimento amministrativo sanzionatorio (ordinanza-ingiunzione). Non va, sul punto, dimenticato che la stessa relazione ministeriale al progetto di legge originario (di quella che poi sarebbe divenuta la legge n. 689/1981), adottata nel 1977, riconosce e prende atto che la Costituzione non consentiva, e non consente, al giudice ordinario di sostituire la propria valutazione in merito a quella compiuta dall'amministrazione; pertanto riconduceva, in tal senso giustificandola, l'innovazione proposta nel binario di un intervento conseguente all'illegittimita' del provvedimento anziche' all'apprezzamento di esso. Ma v'e' di piu'. L'art. 113, ultimo comma, della Costituzione demanda alla legge ordinaria di indicare quale organo giurisdizionale possa annullare l'atto amminastrativo ma non prevede pure la possibilita' che venga conferita all'a.g.o. una forma di controllo che si diversifichi da quella dell'annullamento. Cio' nonostante venne inserita nell'art. 23, comma 11, della legge n. 689/1981 la disposizione eccezionale che attribuiva al giudice ordinario il potere di incidere, in sede di opposizione, sul quantum della sanzione, ma questo, per fugare ogni rilievo di ordine costituzionale, fu possibile sull'implicito presupposto che ne venisse offerta un'interpretazione (appunto compatibile con il citato parametro della Carta fondamentale) in base alla quale rimaneva in ogni caso escluso che il giudice ordinario potesse sostituire "discrezionalmente" la propria valutazione di merito a quella dell'organo amministrativo per legge legittimato all'esercizio della potesta' sanzionatoria. Sulla base di tale inquadramento coerente sotto il profilo del coordinamento sistematico si e' sviluppato il costante insegnamento della Cassazione, in virtu' del quale e' stato affermato che rientra nel sindacato del giudice ordinario, in sede di opposizione a ordinanza-ingiuzione, il controllo di legittimita', anche sul punto relativo all'esistenza e alla correttezza della motivazione circa i criteri osservati in funzione della determinazione della sanzione; ha, pero', univocamente chiarito, in proposito, che attiene al merito - onde sfugge al controllo dell'a.g.o. - la verifica dell'adeguatezza della sanzione, cioe' della sua congruita' rispetto al disvalore intrinseco dell'infrazione addebitata, mentre inerisce alla legittimita' del provvedimento amministrativo - e, per tale verso, rientra nella cognizione devoluta al giudice ordinario - la verifica dell'esistenza di una motivazione sufficiente a dar conto delle ragioni in forza delle quali l'autorita' amministrativa abbia determinato l'ammontare concreto della sanzione (v., sotto il regime della precedente legge depenalizzatrice, Cass. 24 febbraio 1978, n. 926; Cass. 27 ottobre 1978, n. 4892; Cass. ss.uu.civ. 3 aprile 1980, n.2151 e Cass. ss.uu.civ. 12 aprile 1980, n. 2323; cfr., altresi', per le applicazioni pratiche riferibili alla legge 24 novembre 1981, n. 689, Cass. 22 febbraio 1989, n. 998; Cass. ss.uu.civ. 3 febbraio 1989, n. 659; Cass. 30 novembre 1985, n. 5984; Cass. ss.uu.civ. 16 febbraio 1984, n. 1133). In definitiva, alla stregua dei risultati scaturenti dall'evoluzione della giurisprudenza, si deve escludere che al giudice dell'opposizione a ordinanza-ingiunzione siano conferibili poteri discrezionali di rideterminare in modo nuovo ed autonomo la sanzione, in completa sostituzione degli organi amministrativi competenti; rientra, invece, nella sfera di giurisdizione attribuita al giudice ordinario la verifica del rispetto, da parte dell'autorita' amministrativa, dei limiti massimo e minimo fissati dalla legge per la sanzione, nonche' l'esame della conformita' a legge dei criteri giuridici in base ai quali la quantificazione concreta della sanzione risulta operata (cfr., ancora in tal senso, la citata Cass. ss.uu.civ. 16 febbraio 1984, n. 1137 e Cass. ss.uu.civ. 3 febbraio 1989, n. 659). Alla luce di quanto innanzi, pare emergere che l'interpretazione "adeguatrice" data dalla Corte costituzionale nella decisione n. 67 del 1994 (ribadita nella sentenza n. 366 dello stesso anno) viene a scontrarsi con il "diritto vivente", in quanto, per le limitazioni evidenziate e per la circoscrizione del potere di incidenza dell'a.g.o. sull'aspetto della determinazione quantitativa della sanzione in fase oppositiva, i giudici di merito vengono a trovarsi nella sostanziale impossibilita' di applicarla, vivendo appunto la disposizione che si intende impugnare in senso diverso, a livello interpretativo, rispetto agli auspici contenuti nella statuizione predetta dei giudici della Consulta. In altri termini, nel momento in cui il giudice dell'opposizione, verificato che la p.a. opposta ha irrogato la sanzione nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione ai sensi dell'art. 204, comma 1, c.d.s. 1992 e che essa - trattandosi di una soglia minima predeterminata per legge - non e' tenuta a dare contezza, sul piano della motivazione, di tale quantificazione (insorgendo un tale obbligo, in relazione ai parametri trasparenti dell'art. 195, comma 2, c.d.s. 1992, soltanto quando intende irrogare una misura superiore al doppio del minimo), esso giudice, proprio in relazione al richiamo che si pone all'art. 23 della legge n. 689/1981 nel successivo art. 205, comma 3, c.d.s. cit. (e, quindi, al "diritto vivente" sviluppatosi intorno al suo undicesimo comma, nei sensi piu' avanti svolti), verrebbe a trovarsi nella impossibilita' pratica di esercitare il potere di riduzione della sanzione, non ricorrendone i presupposti evidenziati, proprio perche' constaterebbe il rispetto dell'irrogazione del limite minimo fissato dalla legge (equivalente al doppio del minimo edittale) e l'irrilevanza dell'omissione della motivazione - ovvero la sua non producibilita' del conseguente azionamento del potere modificativo da parte del giudice - proprio in dipendenza dell'applicazione del minimo consentito dalla legge. A quest'ultimo proposito la Cassazione ha, invero, stabilito che, in tema di sanzioni amministrative, il provvedimento che determini la sanzione pecuniaria in misura corrispondente al minimo previsto dalla legge applicata non richiede una specifica motivazione in rapporto all'impiego dei criteri di applicazione delle sanzioni contemplati nell'art. 11 della legge n. 689/1981 (o in altre norme speciali) (cf. Cass. 17 marzo 1989, n. 1316). E questo configurerebbe il sistema di chiusura (proprio in virtu' del riferito richiamo all'art. 205, comma 3, c.d.s. 1992) che, pur in difetto di espresse norme specificamente limitatrici del nuovo codice della strada, non consentirebbe al giudice dell'opposizione di esercitare il suo potere di modificazione della sanzione in melius nel momento in cui la p.a. si attenga al minimo precostituito per legge rappresentato dal "doppio del minimo edittale per ogni singola violazione" cosi' come imposto dall'art. 204, comma 1, c.d.s. 1992. Cio' posto, pare a questo giudicante, che ci si imbatta nella violazione dell'art. 24 della Costituzione, perche' la disposizione appena citata ex art. 204, comma 1, c.d.s. 1992 si connoterebbe come un "deterrente" alla proposizione del ricorso amministrativo da parte del trasgressore ai sensi dell'art. 203, comma 1, cit. c.d.s. proprio per le conseguenze peggiorative, sul piano sanzionatorio, di cui la sua sfera giuridica verrebbe a risentire in ipotesi di rigetto dell'impugnativa all'interno del procedimento amministrativo, che, invero, imporrebbe, in via automatica (e senza alcuna indispensabilita'di addurre idonea motivazione), l'applicazione di una sanzione nella misura non inferiore al doppio di quanto e' ammesso con il pagamento in misura ridotta ex art. 202 cit c.d.s. 1992. Inoltre - ed e' questo il profilo innovativo rispetto alle precedenti questioni sollevate dai giudici di merito rimettenti - tale inflizione vessatoria della sanzione nella misura predeterminata del doppio del minimo, per le ragioni ampiamente spiegate, non sarebbe modificabile in melius da parte del giudice dell'opposizione, (come, invece, implica l'opzione interpretativa offerta dalla Consulta nell'ord. cit. n. 67 del 1994), il quale, avendo controllato che la p.a. si e' attenuta al rispetto del limite minimo fissato dalla legge (senza la necesisita' dell'osservanza dell'obbligo di un'adeguata motivazione), non potrebbe (rectius: sarebbe impossibilitato a) - per gli esiti interpretativi desumibili dal piu' volte citato "diritto vivente" - valutare direttamente la congruita' della sanzione, ne' potrebbe sostituire una sua pronuncia alle determinazioni dell'autorita' amministrativa, risolvendosi diversamente, in presenza dei riferiti presupposti, una contraria condotta del giudice in un'inammissibile ed illegittima esplicazione di un non consentito potere discrezionale di rideterminare in modo nuovo ed autonomo la sanzione, in completa sostituzione della p.a. competente e legittimata per legge. Tanto comporta la violazione del diritto di difesa in giudizio del trasgressore che, - se l'ordinanza non dovesse essere annullata in toto in sede, appunto giudiziale -, pur avendola invocata, non potrebbe ottenere la riduzione della sanzione qualora applicata nella misura del doppio del minimo ex art. 204, comma 1, c.d.s. 1992, onde la questione nei termini innanzi specificati, si prospetta come non manifestamente infondata in relazione all'art. 24, commi 1 e 2, della Costituzione. Peraltro per potersi affermare che la medesima disposizione di cui al cit. art. 204, comma 1, c.d.s. 1992 collida - come rilevato da altro giudice di merito (v. ord. pret. Lanciano su cui la Corte costituzionale si e' pronunciata con la sentenza 27 luglio 1994, n. 366) - con il parametro del principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3 della Costituzione, laddove sembrerebbe comportare che soltanto chi si trova in piu' agiate condizioni economiche puo' rischiare di intraprendere il percorso dell'opposizione in via giurisdizionale, proponendo, previamente, un ricorso amministrativo destinato, ove respinto, a determinare l'irrogazione, da parte della p.a., del doppio del minimo della sanzione, onde si verrebbe a concretare una discriminazione dei meno abbienti rispetto a chi versa in considerevoli condizioni economiche. Ne' sembra che questa interpretazione sia superabile in virtu' della considerazione (in altra sede operata dal giudice delle leggi: v. la cit. sentenza n. 366 del 1994) secondo la quale l'ostacolo sarebbe travalicabile azionando, avverso il verbale di accertamento, immediatamente la tutela giudiziaria senza passare attraverso il preventivo esperimento del ricorso amministrativo, al cui esito, in difetto di accoglimento dell'istanza di archiviazione, conseguirebbe ineluttabilmente l'applicazione del raddoppio del minimo edittale. Infatti, nell'ordine logico-sistematico delle disposizioni di cui agli artt. 203, 204 e 205 del c.d.s. 1992, non pare che si possa prescindere, ai fini dell'instaurazione della fase oppositiva in sede giudiziale, dalla pregiudiziale definizione del procedimento amministrativo che culmina nell'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione prefettizia (ove non si faccia luogo all'archiviazione) e cio', non solo, in consonanza con i testuali passaggi procedimentalizzati e cadenzati, previsti nelle richiamate norme, ma, soprattutto, per l'assorbente motivo in virtu' del quale l'art. 205 cit. ammette esplicitamente (non prevedendo deroghe) che l'opposizione innanzi all'autorita' giudiziaria vada presentata dall'interessato "contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria". Ad avvalorare la circostanza che l'oggetto dell'opposizione in sede giudiziale si identifichi soltanto con l'ordinanza-ingiunzione si pone, inoltre, il richiamo per relationem compiuto nello stesso art. 205, in ordine all'osservanza delle modalita' del giudizio di opposizione disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689/1981; ed in proposito l'art. 22 appena citato recita espressamente che gli interessati possono proporre opposizione "contro l'ordinanza-ingiunzionedi pagamento e contro l'ordinanza che dispone la sola confisca", mentre l'art. 23, all'undicesimo comma, legittima il giudice, in caso di accoglimento dell'opposizione, ad annullare in tutto o in parte "l'ordinanza" o modificandola anche limitatameate all'entita' della sanzione dovuta. Ad ulteriore conforto della riportata opzione ermeneutica soccorre ancora una volta, la giurisprudenza (di legittimita', in particolare), ad avviso della quale "in tema di sanzione amministrative, l'opposizione davanti al giudice, a norma dell'art. 22 della legge 24 gennaio 1981, n. 689, e' consentita contro l'ordinanza-ingiunzione, con cui viene irrogata la sanzione pecuniaria ed intimato il suo pagamento, non anche, pertanto, avverso il verbale di contestazione dell'infrazione (ancorche' contenga l'invito ad effettuare il pagamento in misura ridotta ai sensi dell'art. 16 della citata legge); l'irritualita' dell'esperimento dell'opposizione contro detto verbale, traducendosi nel difetto di un presupposto essenziale per la costituzione del rapporto processuale, e' deducibile e rilevabile in sede di legittimita', pure se non fatta valere in sede di merito" (v. Cass. civ. 29 dicembre 1989, n. 5820; Cass. civ. 29 aprile 1988, n. 3235; Cass. civ. 14 gennaio 1988, n. 195; per riferimenti di giurisprudenza costituzionale v. sentenze Corte costituzionale nn. 186 del 1972, n. 130 del 1970 e n. 82 del 1992). Pertanto la qestione, per gli accennati motivi, si profila come non manifestamente infondata anche in riferimento al valore enucleato nell'art. 3 della Carta fondamentale. La complessiva questione incidentale di costituzionalita' appare chiaramente rilevante nel presente giudizio, poiche' l'esito di quest'ultimo e', all'evidenza, dipendente dalla risoluzione della questione sollevata, dal momento che, se quest'ultima venisse accolta, consentirebbe a questo giudice, - avendone formulato istanza anche se in via subordinata (ovvero in caso di rigetto della domanda di annullamento dell'ordinanza-ingiunzione), l'opponente in relazione al disposto ex art. 23, comma 11, legge n. 689/1991 -, di poter operare una valutazione sui criteri di determinazione della sanzione irrogata e, sulla scorta dei principi dinanzi evidenziati, procedere in concreto, ove ne ricorressero i presupposti, ad una riduzione della stessa. Al promuovimento della questione appena cennata consegue la necessita' dell'assolvimento degli adempimenti che saranno meglio specificati in parte dispositiva nonche' la sospensione del presente giudizio, alla stregua degli artt. 295 del c.p.c. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.